Il sano politico è colui che serve il popolo perché abbia il massimo del benessere compatibilmente con le risorse disponibili, non solo, ma pensando anche di creare i presupposti affinché tale benessere sia disponibili ai figli e figli dei figli di quel popolo. Tutto ciò presuppone che l’obiettivo del suo operare non siano le prossime elezioni ma anche la formazione culturale del Popolo a che non sia bue.
A sostegno di questa impostazione mi piace ricordare la saggezza, la lungimiranza della Serenissima che si preoccupava di avere nel suo entroterra, in particolare nei boschi delle Dolomiti, un regime boschivo tale da consentire un costante rifornimento di tronchi d’albero per le sue navi, da qui la sua potenza marittima, e per le fondamenta dei suoi palazzi. Anche nei boschi ai piedi dei Colli Euganei, per le querce, il cui trasporto avveniva su una rete di fiumi appositamente costruita.
Nota: la Fossona, ora scomparsa, convogliava i tronchi di quercia sul Bacchiglione al Castello di San Martino e da qui alla laguna. Anche Le querce di Slavonia erano utilizzate in tal senso. È risaputo, comunque ovvio, che i montanari gestori dei boschi sapevano bene e lo sanno ancora, per fortuna un po’ di saggezza è rimasta, che il loro lavoro di piantumazione non sarebbe un frutto a loro disponibile. Un’altra interessante, davvero emblematica curiosità: nel museo navale (Albaola) della città basca di Pasaia sono descritti i viaggi dei pescatori nei perigliosi mari del nord per la pesca, che duravano mesi e mesi, riportando in patria barili di grasso e pesce essiccati. Le navi dei pescatori baschi avevano una forma particolare, a pancia. I loro cantieri di costruzione delle chiglie delle navi avevano escogitato la piantumazione di alberi che durante la loro crescita erano costretti a forma idonea alla forma delle navi. È evidente che coloro che piantavano gli alberi e li accudivano a prendere le forme dovute non avrebbero raccolto il frutto del loro lavoro, ma a goderne sarebbero stati i figli o i nipoti.
Cosa ci dice questo? Che la lungimiranza è saggezza.
Cosa dire invece di una classe dirigente che consente la pensione dopo 16 anni di contributi o, come nel mio caso, che è anche quello di molti altri, a 53 anni, nel pieno delle mie forze fisiche e intellettive?
Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!” libro secondo, nr. 112