Libro I Mi Sono Sbottonato!

Gli studi

19 Aprile 2020

A me piaceva andare a scuola. Alle elementari ero fra i pochi ragazzi curiosi. Essere curioso era qualcosa di più che essere bravo, diligente, intelligente. Sono questi gli anni che mi hanno insegnato a imparare.

Niente più scuola

16 dicembre 1943 ore 12.30 circa, via Gorizia 17. Seduto sul gradino di un portoncino, le mani a tappare gli orecchi, la testa tra le ginocchia per proteggermi dall’immenso fragore dello scoppio di centinaia di bombe piovute dal cielo sulla stazione ferroviaria e l’Arcella. Più di mille morti.

Poco prima guardavo lassù schiere di bombardieri attraversare la fetta di cielo tra i palazzi come mandrie di mustang nella prateria. Poco dopo l’inferno. Non ho memoria di quanto sia durato. Ho tolto le mani dalla testa quando si è aperto il portoncino e una signora mi ha fatto salire in casa. Per rassicurarmi mi ha dato un po’ di acqua e menta. Non sono più andato a scuola, frequentavo la seconda avviamento al lavoro in via Brondolo.

Il tabellone dei voti

Giugno 1945. Tornato dalla campagna dov’ero sfollato, mia mamma mi fa dare delle lezioni per dare l’esame di seconda per poi frequentare la terza che concludo a giugno del 1946.

La settimana dopo la fine della scuola per molti ragazzi era la settimana dell’ansia: come sarà il risultato? Speriamo, chissà. Finalmente i circa duecento ragazzi della scuola di avviamento al lavoro di via Brondolo sono davanti al por-tone aperto della scuola. La via è stretta, tutti gridano, spingono per arrivare alla meta. Nell’atrio appeso al muro il tabellone dei voti, un metro per due, con appiccicati i fogli battuti a macchina dei risultati di tutte le materie di ogni classe. Chi lo trovava il proprio nome in quella baraonda? Quei pochi che sono riusciti a leggere il proprio risultato se ne vanno allegri. Evidentemente chi aveva qualche dubbio tentava invece di ritardare a conoscere la propria sorte per guadagnare un po’ di tempo!

Finalmente arrivo. Mi cerco. Non mi trovo. Dietro di me c’è Armando che mi mostra lassù in alto, lui era più alto di me, ero un ragazzino basso e tondo, mi chiamavano Ciccio, uno scritto in rosso. Riesco ad avvicinarmi a quel segno rosso che si trasforma in un 10 in storia allineato con il mio nome nella mia classe. Nella scuola c’erano molti Schiavon. Avevo le gambe molli. Sapevo di andare bene a scuola ma non così tanto. Ho collegato il risultato con un compito in classe di qualche tempo prima. Il tema era “Un popolo mediterraneo”. Sul libro di storia i greci, i romani, gli egizi erano ampiamente descritti, quindi c’era abbondanza di materiale da sviluppare.

Tra un capitolo e l’altro di due grandi civiltà erano descritti i fenici, forse una decina di righe da cui emergevano come navigatori e commercianti. I libanesi lo sono ancora! Forse perché i Fenici, commercianti e navigatori, erano interlocutori sempre presenti delle altre più grandi civiltà e spesso in guerra, hanno acceso la mia fantasia. Scrissi un intero foglio protocollo che era almeno dieci volte di più di quanto scritto nel libro.

Il primo giorno di lavoro

Giugno 1946: appena finito l’anno scolastico, terzo anno di avviamento al lavoro, accompagnato da una raccomandazione scritta dal mio parroco, mi presentai in Zedapa per un colloquio. Già altri miei amici erano stati assunti. Naturalmente ero emozionato e dell’incontro ricordo pochissimo, solo che dopo pochi giorni cominciai il lavoro.

la Zedapa in via Gaspare Gpzzi

Fui destinato in sala presse con notevole mio disappunto. I miei amici già assunti lavoravano nel reparto meccanica e facevano esperienza tra mac- chine e ricambi dove il lavoro era più pulito e si diceva più qualificato. Voglio subito precisare, con il senno di poi, che fu la mia fortuna perché il tempo mi permise di capire che proprio il reparto presse era il cuore della tecnologia che ha caratterizzato la Zedapa.

Inizialmente i miei compiti erano i più insignificanti e, a volte, molto fati- cosi. La struttura gerarchica fra le persone era molto verticalizzata, così com’era altresì la società fuori della fabbrica. Durante i turni un pasto era consumato sul posto di lavoro e quando le presse funzionavano. Furono questi anni difficili perché ero insofferente in quanto non avevo chiaro nessun obiettivo, avevo l’impressione di non imparare mentre i miei amici negli altri reparti descrivevano il loro lavoro come creativo e interessante. Ma godevo di una buona considerazione presso l’operaio di riferimento. Finalmente cominciai a eseguire lavori al tornio e al banco e così ebbi modo di dimostrare l’accuratezza dei miei lavori. Da quel momento cominciai a trarre soddisfazione da quanto andavo facendo.

A un certo punto fui trasferito al reparto “esperienze”, ritenuto l’università della Zedapa, dove rimasi un anno. Era questo un luogo più sofisticato ma ritengo che le vere esperienze fossero quelle acquisite sul campo della sala presse dove sono ritornato volentieri.

Il servizio militare

Aprile 1952, partivo per il servizio militare. Nella borsa pochi indumenti, una vecchia Kodak e la Divina Commedia che da tempo leggevo.

Il tempo del militare è stato cruciale per il mio futuro. Ero cameriere al Circolo Ufficiali dell’aeronautica di Palermo. Gli ufficiali, di quei tempi, erano i rampolli della colta società. Di quell’ambiente ho recepito solo la cultura, le conoscenze. Non ero ancora in grado di valutare le implicazioni sociali di quell’élite. È in questo ambiente che ho maturato la voglia di sapere.

Sapendo che la mia famiglia non avrebbe potuto economicamente sostenere i miei studi, né rinunciare al mio stipendio di operaio, ho cominciato a risparmiare ogni lira per pagarmi la scuola serale alla fine del servizio militare. Come cameriere al Circolo alla sera non cenavo in mensa con gli altri ma godevo di una diaria sostitutiva della cena. Fu questa risorsa che mi permise di mettere insieme circa 60.000 lire, sufficienti a pagare il primo anno di retta alla scuola serale per geometri della “Dante Alighieri” di Padova. La cena di quei tempi era pane e marmellata e qualche verdura che acquistavo alla Vucciria o più spesso al mercato di Corso Tobruk.

Verso la fine della ferma, durante il servizio di cena al Circolo, il generale Bonamico, comandante della zona aeronautica della Sicilia, mi chiese delle mie aspettative al ritorno alla vita civile. Esposi l’idea della scuola, fu sorpreso e mi invitò all’indomani a recarmi dal suo colonnello aiutante. Il giorno dopo mi presentai al quartiere generale e fui ricevuto da un capitano con la documentazione, completa di biglietto di viaggio, di esonero immediato dal servizio militare per poter così espletare in tempo le pratiche di iscrizione a scuola. Era settembre del 1953. Il congedo sarebbe poi ar- rivato a ottobre, con un mese di anticipo sui diciotto previsti, per potermi iscrivere alla scuola serale per geometri.

La scuola geometri

Mi iscrissi a geometri. I corsi disponibili erano tre: liceo, geometri, ragionieri. Non era quello che volevo ma a me bastava poter imparare. Il corso di studio per periti si teneva solo a Vicenza di sera. Il piano di studio prevedeva la 1a, 2a, 3a classe nell’anno 1953-54, la 4a e 5a nell’anno 1954-55. Ho affrontato l’impegno di fare contemporaneamente i primi tre anni del quinquennio previsto riservando i secondi due per l’anno seguente. Chi mi era vicino, professori, amici, parenti, mi consideravano un illuso, data la mole di materie da studiare. Naturalmente non potevo pensare di trascurare il lavoro in fabbrica in quanto il mio stipendio era indispensabile per la famiglia. Non ho perso un giorno di lavoro, gli esami li ho fatti utilizzando le ferie. Nei due anni di studi ho perso una sola ora di lezione e unicamente per vedere un film, “Da qui all’eternità”.

La Zedapa mi è stata di aiuto consentendomi di non fare ore straordinarie e di non fare i turni, mentre per gli esami mi è stato concesso di utilizzare i giorni di ferie annuali visto che avrei lavorato durante le ferie dell’azienda. Le giornate erano scandite da orari ferrei: 7.30-16.30 in fabbrica compresi i pranzi, 16.30-19.00 spostamenti, cena, compiti, 19.00-23.00 scuola, 23.30-1.00 compiti, 1.00-7.00 riposo. Al sabato e domenica recupero compiti e riposo. Quando tornavo a casa alle 23.00 trovavo sempre una terrina di frutta cotta e una pietra riscaldata per intiepidire il letto d’inverno. Alla fine dell’anno scolastico, all’esame presso l’istituto pubblico “Belzoni”, sono uscito rimandato in una sola materia, francese.

L’estate del 1954 venne tutta dedicata all’approfondimento delle materie studiate in modo da affrontare i successivi due anni finali. Lo studio è stato particolarmente impegnativo e a volte preoccupante, mai però da farmi pensare a rinunciare. Gli esami di stato sono stati esaltanti. I miei compagni di corso privato sono andati a Teramo a fare l’esame perché sede più facile. Io non potevo sopportare la spesa di trasferta, perciò sono rimasto a Padova al “Belzoni” che era ed è tutt’ora una scuola molto seria. Quell’anno gli esaminandi interni erano un centinaio, venti quelli di provenienza esterna; tra quest’ultimi c’ero anch’io. Quando sono iniziati gli orali, sostavamo in corridoio a ripassare le varie materie mentre a turno si entrava in aula per l’esame.

Quando toccò a me l’aula fu invasa per assistere al mio esame e fu così per tutte le mie interrogazioni, ero emozionato fino alle lacrime, così com’era forte la sorpresa dei professori per l’attenzione degli altri alunni nell’assistere alla mia “prestazione”. Il risultato degli esami è stato di una ventina di promossi ‘interni’ e di un esterno, tutti gli altri a settembre. Sull’onda dei risultati scolastici ottenuti pensavo di continuare a studiare. Purtroppo il lavoro e la famiglia erano pronti a fagocitarmi e le incombenze della vita non mi hanno consentito scelte diverse.

Ma le letture hanno destato il desiderio di conoscere il mondo. Desiderio che ho parzialmente soddisfatto negli ultimi dieci anni. In ogni caso non ho rimpianti, solo qualche nostalgia per le infinite conoscenze che il mondo propone. Questo atteggiamento verso la carta stampata, il sapere, è sempre stato l’indirizzo, meglio la direzione permanente che ho cercato di dare ai figli prima e, per quel che può valere, anche ai nipoti.

Toni Schiavon “mi sono sbottonato”, Libro I, pag. 93

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *