È domenica. È una giornata magnifica, un po’ ventosa, ideale per passeggiare e raccogliere violette sui bordi delle carrarecce. Invece nel cuore abbiamo la tristezza per l’aumento dei contagiati e dei morti di questa nuova peste. La pena per la sepoltura solitaria ad aumentare il dolore dei loro cari. La solitudine degli ammalati senza il conforto di una madre, di un figlio, di chi ti vuole bene. Sarà duro superare questa calamità.
Per noi anziani l’isolamento non sarebbe gravoso se non fosse coincidente con lo stato di infermità della nonna Franca che ha reso tutto difficile. Non abbiamo accesso all’assistenza, necessaria per noi ma impegnata in un compito ben più importante. Per nostra fortuna abbiamo le figlie che ci seguono passo passo. Grazie, Grazie. Queste due parole sono bagnate di lacrime.
Scrivo ora un ricordo. La solitudine di ammalati e defunti mi ha riportato alla malattia e morte di mio nonno. Era il 1946, nella casa di campagna dove avevo vissuto durante la guerra tornavo frequentemente a trovare nonni e zii. Il nonno si ammalò e quando alla domenica andavo a trovarlo era a letto nella sua camera al piano terra, i balconi accostati perché la luce non lo disturbasse. Entravo piano piano, lo salutavo sottovoce, lui mi accarezzava la testa, me ne andavo. Rimaneva così giorno e notte, solo, gli altri erano presi dalle incombenze della campagna. Non solo. Certamente non c’era il servizio sanitario odierno…
Finalmente arrivò la fine, che per lui fu una liberazione dal dolore e dalla solitudine.